giovedì, 03 luglio 2025 | 14:14

Dal Mef le indicazioni per la gestione dei crediti d’imposta non spettanti o inesistenti

Pubblicato l'atto di indirizzo del 1° luglio 2025 concernente l'attuale definizione di credito d'imposta inesistente o non spettante a cui dovranno attenersi gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria (MEF - comunicato 02 luglio 2025)

Dal Mef le indicazioni per la gestione dei crediti d’imposta non spettanti o inesistenti

Pubblicato l'atto di indirizzo del 1° luglio 2025 concernente l'attuale definizione di credito d'imposta inesistente o non spettante a cui dovranno attenersi gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria (MEF - comunicato 02 luglio 2025)

L'atto in oggetto fornisce chiarimenti e indicazioni per la gestione dei crediti d'imposta inesistenti o non spettanti al fine di assicurare la corretta applicazione delle norme tributarie e prevenire abusi.

L’attuale definizione di “credito inesistente” risulta da un lato circoscritta, in modo più oggettivo, ai crediti carenti, in tutto o in parte, dei requisiti oggettivi o soggettivi indicati dalla normativa di riferimento e, dall’altro, ampliata a ricomprendere eventuali crediti inesistenti rilevati anche in occasione dei controlli automatici o formali della dichiarazione.

Riprendendo l’orientamento della sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 34419 del 2023, sono ricondotti tra i crediti inesistenti quelli che difettano dei presupposti costitutivi del credito, come indicati dalle norme di riferimento, e che possono attenere tanto al soggetto che fruisce dell’agevolazione quanto all’oggetto dell’agevolazione stessa. Il credito potrebbe, in altri termini, rivelarsi inesistente perché fruito da un soggetto diverso da quello individuato dalla norma istitutiva del credito o per la mancata effettuazione dell’operazione a cui la norma ricollega la spettanza del credito o ancora per il mancato adempimento di specifici obblighi di fare o non fare previsti dalla disciplina quali elementi essenziali per la nascita del credito.

Quanto alla fonte normativa di riferimento, è tale non solo la norma primaria istitutiva delle singole fattispecie di crediti d’imposta ma anche tutte le disposizioni recate da fonti secondarie (decreti ministeriali o regolamenti) espressamente richiamate dalla norma istitutiva del credito e che vanno a completare o specificare i presupposti costitutivi del credito d’imposta. In tali casi, i presupposti costitutivi, ancorché enunciati nella norma primaria istitutiva del credito, si completano solo con l’integrazione di elementi contenuti in altra fonte (ad esempio, l’individuazione specifica della tipologia di spesa, demandata dalla norma primaria all’emanazione di un decreto ministeriale). Non rilevano invece, ai fini della contestazione dell’inesistenza del credito, eventuali ulteriori fonti di dettaglio, come ad esempio manuali tecnici, che non siano oggetto di esplicito richiamo nella norma istitutiva o nelle fonti secondarie che ne completano la disciplina ovvero per i quali il rinvio sia operato solo genericamente e non “specificamente”.

Alla prima tipologia di crediti inesistenti per assenza o carenza dei presupposti costitutivi del credito si aggiunge quella che ha ad oggetto crediti fraudolenti, cioè, crediti per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi non sono semplicemente mancanti, ma sono “oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici”. Questa fattispecie ricorre, evidentemente, anche nei casi in cui il credito sia generato artificiosamente e direttamente nel modello di pagamento F24.

Per quanto riguarda, invece, l’attuale definizione di "credito non spettante" si individuano tre tipologie di crediti non spettanti, accomunate dalla circostanza che l’attività oggetto dell’agevolazione è stata comunque effettivamente svolta e il relativo credito non può pertanto considerarsi tout court inesistente.

Ad una prima tipologia di crediti non spettanti appartengono “i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza".

Ad una seconda tipologia di crediti non spettanti appartengono “I crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento”. Le “modalità di utilizzo” possono riguardare sia le tempistiche dell’utilizzo del credito (ad esempio, credito d’imposta fruito in un unico anno anziché con la prevista ripartizione in quote annuali) sia la possibilità o meno di compensazione in funzione del tipo di debito da estinguere (ad esempio, credito d’imposta derivante dall’esercizio delle opzioni di cui all’art. 121, co. 1, del DL n. 34 del 2020 utilizzato da banche o intermediari finanziari in compensazione di debiti previdenziali e assistenziali, in violazione del divieto introdotto dall’art. 4-bis, co. 1, del DL n. 39 del 2024), sia i casi in cui il credito insorto non è stato utilizzato in compensazione ma è stato fatto oggetto di cessione, sia infine i casi in cui il credito sia fruito oltre i limiti di compensazione (artt. 1, co. 53, legge 24 dicembre 2007, n. 244 e 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388).

Ad una terza tipologia di crediti non spettanti appartengono infine “I crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto dì ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito”. Questa è la tipologia che più significativamente riguarda i c.d. crediti d’imposta sovvenzionali (ad esempio, i crediti per le attività di ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, design e innovazione estetica) e che ha sollevato le maggiori criticità interpretative e applicative.

Questa tipologia di non spettanza si verifica quando, ferma restando la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi specificamente individuati nella normativa di riferimento, il credito d’imposta difetta di ulteriori elementi o qualità individuate da fonti tecniche di dettaglio non specificamente richiamate dalla normativa, primaria e secondaria, dell’agevolazione.

Occorre a tal fine ricordare che per favorire la fruizione dei crediti d’imposta in condizioni di certezza operativa ed evitare controversie sulla qualificazione delle spese effettuate dall’impresa, l’articolo 23, comma 2, del decreto-legge 21 giugno 2022, n. 73, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2022, n. 122, ha previsto la possibilità, per le imprese interessate, di chiedere, a soggetti qualificati, una certificazione attestante la qualificazione degli investimenti, sia già effettuati sia ancora da effettuare, al precipuo scopo di farne riscontrare la compatibilità con l’ammissibilità al beneficio fiscale previsto per tali impieghi di risorse.

La certificazione, in esame, può essere chiesta, sempre che eventuali violazioni relative all'utilizzo dei crediti d'imposta non siano state già constatate con processo verbale di constatazione.

Ferme restando le attività di controllo fiscale, la certificazione esplica effetti vincolanti nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, tranne nel caso in cui, sulla base di una non corretta rappresentazione dei fatti, la certificazione venga rilasciata per una attività diversa da quella concretamente realizzata. Fatto salvo quanto previsto nel primo periodo, gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, difformi da quanto attestato nelle certificazioni sono nulli.

Discende allora che, impregiudicate le ordinarie attività di controllo dell’Agenzia delle entrate, se il contribuente si dota di una certificazione che attenga alle varie tipologie di crediti d’imposta, rilasciata dai soggetti qualificati ammessi a sottoscriverla, che attesti la qualificazione tecnica degli investimenti, effettuati o da effettuare, e che riguardi l’attività concretamente realizzata, un eventuale atto, impositivo o sanzionatorio, che contesti la fruizione del credito sotto l’unico profilo della qualificazione dell’investimento potrà essere censurato sotto il profilo della sua nullità, con tutte le relative possibili conseguenze sul piano giuridico, secondo i principi generali.

Come detto, la certificazione può essere chiesta anche dopo l’avvenuta effettuazione degli investimenti, purché eventuali violazioni relative all’utilizzo dei crediti d’imposta non abbiano già formato oggetto di un processo verbale di constatazione. Sarebbe allora auspicabile, in questi casi, che il contribuente che si munisce della certificazione ne dia collaborativamente comunicazione all’Amministrazione finanziaria, anche per evitare eventuali contestazioni unicamente incentrate sul profilo della qualificazione tecnica dell’investimento.

di Daniela Nannola

Fonte Normativa